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RISCHIA LA REVOCA GIUDIZIARIA L’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO CHE NON SI AGGIORNA

(articolo di commento per la rivista La Proprietà Edilizia a cura dell’ARPE di Roma)

di Alberto Celeste – Magistrato

 

Si sta oramai formando, nella giurisprudenza di merito, l’orientamento volto ad affermare la revocabilità, da parte dell’autorità giudiziaria, dell’amministratore di condominio che non cura diligentemente i suoi obblighi – oltre che, iniziali, di formazione, anche successivi – di aggiornamento periodico.

Trattasi di un orientamento assolutamente condivisibile, in quanto in sintonia con le direttive impartite dalla legge di riforma della normativa condominiale, ma pur nulla scontato alla luce della cornice di riferimento tracciata dalla stessa novella (legge n. 220/2012).

Infatti, non può essere più tollerato che l’incarico di amministratore sia svolto in modo, per così dire, artigianale, casareccio, fai-da-te, laddove la nuova figura viene compiutamente delineata dalla riforma di settore con tanto di requisiti di “professionalità” (oltre che si spiccata “onorabilità”).

Tuttavia, l’aggiornamento professionale non viene contemplato espressamente tra le cause legittimanti la destituzione giudiziaria, per cui avrebbe potuto legittimamente sostenersi che tale inottemperanza giustificasse ben altre conseguenze giuridiche.

Ma procediamo con ordine.

E’ noto che la legge 11 dicembre 2012 n. 220 – recante “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici” – introducendo il nuovo art. 71-bis disp. att. c.c., aveva prescritto severi requisiti per l’espletamento dell’incarico di amministratore del condominio.

In buona sostanza, la figura dell’amministratore del terzo millennio veniva descritta specificamente quanto (non solo a onorabilità, ma anche) a livello di professionalità, considerando, altresì, che la novella contemplava specifici e più dettagliati obblighi in capo all’amministratore (artt. 1129, 1130 e 1130-bis c.c.), tutti finalizzati ad assicurare la trasparenza ed a permettere il controllo del suo operato.

Invero, il nuovo art. 71-bis disp. att. c.c. aveva prescritto severi requisiti per il relativo espletamento.

Più nel dettaglio, in forza del comma 1 di tale disposto, “possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio coloro: a) che hanno il godimento dei diritti civili; b) che non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni; c) che non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione; d) che non sono interdetti o inabilitati; e) il cui nome non risulta annotato nell’elenco dei protesti cambiari; f) che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado; g) che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale”.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 71 disp. att. c.c., si poteva prescindere dall’obbligo di formazione preventivo/periodico, previsto nella citata lett. g), soltanto allorché si trattasse di un amministratore “nominato tra i condomini dello stabile”, anche se tale deroga non è apparsa, da subito, agevolmente comprensibile perché, anche nei condominii di modeste dimensioni, la qualità di amministratore c.d. interno non doveva tralasciare tutte quelle esigenze di professionalità e di responsabilizzazione così avvertite dal citato art. 71-bis disp. att. c.c.

Sei mesi dopo l’entrata in vigore della legge n. 220/2012, era intervenuto il decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 145 (convertito, senza modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014 n. 9): in particolare, l’art. 1 introduceva, al comma 9, la seguente integrazione: “a) con Regolamento del Ministro della Giustizia …. sono determinati i requisiti necessari per esercitare l’attività di formazione degli amministratori di condominio nonché i criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi della formazione iniziale e periodica prevista dall’art. 71-bis, comma 1, lett. g), disp. att. c.c., come modificato dalla legge n. 220/2012”.

In buona sostanza, con la modifica sub a), il decreto c.d. destinazione Italia, occupandosi espressamente del c.d. pacchetto formativo, voleva colmare quel vuoto legislativo esistente nella legge n. 220/2012, la quale, pur stabilendo la formazione obbligatoria degli amministratori di condominio – iniziale e periodica – non recava alcun rinvio ad una fonte secondaria che individuasse sia i requisiti che dovevano essere posseduti per esercitare tale formazione, sia i criteri e le modalità di svolgimento dei corsi.

Orbene, tale lacuna veniva superata prevedendo che venissero stabiliti, in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, gli standards per lo svolgimento della suddetta formazione, aspetto, quest’ultimo – per quanto sopra evidenziato – molto importante e delicato per l’intera realtà condominiale.

Curiosamente, la sopravvenuta perdita di uno dei primi cinque requisiti elencati nelle lettere da a) a e) dell’art. 71-bis, comma 1, disp. att. c.c. comportava, ai sensi del successivo comma 4, la “cessazione dall’incarico”, legittimando ciascun condomino, anche singolarmente ed a prescindere dalla caratura millesimale, a convocare “senza formalità” l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore, laddove, tra le cause di possibile decadenza ipso iure, non venivano, però, menzionati l’omessa frequenza del corso di formazione giudiziale o la mancata cura della formazione periodica.

Resta fermo che l’art. 71-bis disp. att. c.c., con cui sono stati fissati i requisiti di qualificazione professionale del soggetto che l’assemblea scelga come amministratore di condominio, costituisce una norma di ordine pubblico, per la sua incidenza su interessi generali della collettività – ossia la finalità di assicurare, nei condominii, amministratori meritevoli di fiducia nonché provvisti di esperienza e capacità, per esigenze di rilevo anche pubblicistico – e, in quanto tale, dovrebbe avere carattere imperativo, conseguendone che la relativa violazione determina la nullità della delibera di nomina (e del conseguente contratto di mandato stipulato con il soggetto illegittimamente designato).

D’altronde, nei resoconti dei lavori parlamentari, si era rilevato che l’auspicio fosse quello di esaltare il profilo di professionalità e responsabilizzazione dell’amministratore “a tutela non solo del condominio e dei condomini, ma anche del vivere sociale”, nonché “della libera concorrenza e del libero mercato”.

In quest’ottica, stante il carattere imperativo della norma de qua, espressiva di esigenze di ordine pubblico, va data risposta negativa al quesito se l’assemblea, con l’apporto approvativo corrispondente a quello richiesto per la designazione, possa espressamente rinunciare a richiedere, al designando amministratore estraneo al condominio, tali requisiti, o se possa farlo con una delibera che raccolga il voto favorevole dell’unanimità dei partecipanti al condominio; del resto, la preparazione giuridica/tecnica/contabile dell’amministratore e la sua periodica formazione costituiscono un indubbio presupposto per il corretto e proficuo adempimento del relativo mandato gestorio, il cui espletamento risponde ad esigenze generali che travalicano gli stretti confini della compagine condominiale, sicché la previsione di cui all’art. 71-bis, comma 1, disp. att. c.c., anche se non richiamata espressamente dall’art. 1138, comma 4, c.c. o dall’art. 72 disp. att. c.c., è insuscettibile di deroga a livello assembleare, anche in assetto totalitario, riguardo al possesso dei requisiti condizionanti la possibilità di “svolgere l’incarico di amministratore di condominio”.

Dunque, in ottemperanza alla delega di cui sopra, è stato emesso il decreto del Ministro della Giustizia 13 agosto 2014, n. 140, avente ad oggetto il “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità per la formazione degli amministratori di condominio nonché dei corsi di formazione per gli amministratori condominiali”, che – per quel che qui interessa – stabilisce che gli obblighi di “aggiornamento” periodico hanno una cadenza annuale ed una durata di almeno 15 ore, riguardando elementi in materia di amministrazione condominiale, in relazione alla “evoluzione normativa, giurisprudenziale e alla risoluzione di casi teorico-pratici” (stante che il d.m. n. 140/2014 è entrato in vigore il 9 ottobre 2014, e non fa riferimento all’anno solare, si è ritenuto che l’obbligo di aggiornamento vada dal 9 ottobre 2014 al 8 ottobre 2015 e, così di seguito, per tutti gli anni successivi).

In quest’ordine di concetti, i giudici di merito – v., tra gli altri, Trib. Vasto 12 dicembre 2022; Trib. Brescia 30 giugno 2022; Trib. Bari 22 maggio 2020; Trib. Milano 27 marzo 2019; Trib. Verona 13 novembre 2018 – sono stati dell’avviso per cui la sola mancanza di questi requisiti inerenti alla formazione/aggiornamento dell’amministratore costituisce una “grave irregolarità”, che legittima il condomino di minoranza ad adire l’autorità giudiziaria per disporne la revoca dalla carica.

A ben vedere, il nuovo art. 1129 c.c., così come riformato dalla legge n. 220/2012, stabilisce, al comma 11, che l’amministratore possa essere revocato – oltre che dall’assemblea, “in ogni tempo”, con la medesima maggioranza prevista per la sua nomina, anche – dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, in tre ipotesi, ossia: a) nel caso previsto dall’art. 1131, comma 4, c.c. (quando non abbia dato notizia “senza indugio” all’assemblea di una citazione o di un provvedimento notificatigli che abbiano un contenuto esorbitante dalle sue attribuzioni), b) qualora non renda il conto della sua gestione (in precedenza, era contemplata, invece, una soglia di tolleranza biennale), e c) in caso di “gravi irregolarità”.

Nel successivo comma 12 del riformato art. 1129 c.c., il legislatore si è preoccupato di indicare le specifiche ipotesi che possano costituire, “tra le altre, gravi irregolarità”; pertanto, la riforma del 2012 sembra adottare una tecnica normativa di tipo regolamentare, la quale dettaglia la nozione generica ed elastica mediante il ricorso ad una serie di previsioni specifiche e circostanziate, così sforzandosi di pronosticare astrattamente le diverse ipotesi di gravi irregolarità gestionali che si possono verificare in concreto.

L’intento è, pur sempre, quello di allestire un’elencazione non tassativa e meramente esemplificativa dei casi di revoca giudiziaria dell’amministratore.

Ciò significa, per un verso, che non dovrebbe derivare alcuna automatica conseguenza in ordine alla giusta causa di revoca dell’amministratore da quelle specifiche previsioni (l’art. 1129, comma 11, c.c. stabilisce che “può” essere disposta la revoca da parte del giudice): la sussumibilità della singola condotta in una delle astratte tipizzazioni legislative di gravi irregolarità costituirà, per il giudice, solo uno degli elementi in base ai quali apprezzare la sussistenza in concreto della lesione del vincolo fiduciario tra amministratore e condominio, traendosi da esse utili criteri di orientamento, e non un parametro esclusivo di verifica.

Per altro verso, la circostanza che il fatto addebitato all’amministratore non rientri in alcuna delle fattispecie contemplate nell’elenco – si pensi, per quel che qui rileva, all’inottemperanza dell’obbligo di cui all’art. 71-bis, comma 1, lett. g), disp. att. c.c. – non dovrebbe nemmeno precludere al magistrato di accertare se tale fatto giustifichi, comunque, la risoluzione immediata del rapporto di mandato (nei provvedimenti sopra citati, si legge che il mancato aggiornamento professionale “costituisce già di per sé”, una grave irregolarità che legittima la destituzione giudiziaria).

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