L’art. 1119 c.c. prevede che le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la stessa possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio. L’art. 61, comma 1, disp. att. c.c. specifica poi che, qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio possa essere sciolto, con facoltà, per i comproprietari di ciascuna parte, di costituirsi in separato ed autonomo condominio. Tale norma regola pertanto la cosiddetta divisione relativa, quella cioè all’esito della quale sussisteranno ancora beni ex art. 1117 c.c., i quali non saranno più comuni a tutti gli appartamenti, ma solo ai singoli edifici autonomi. La norma stabilisce anche che lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’articolo 1136 c.c. (501 millesimi), oppure è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione. Il quadro normativo si completa con l’art. 62 disp. att. c.c., che ammette la divisione anche se all’esito della stessa permangano beni ex art. 1117 c.c. comuni a tutti gli originari partecipanti, aggiungendo che, se per la divisione occorra modificare lo stato delle cose oppure servano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell’articolo 1136 del codice stesso, ovvero i 2/3 del valore dell’edificio.
La condizione primariamente esposta, dettata dall’art. 61 disp. att. c.c., che cioè in tanto può darsi luogo alla costituzione di condomini separati, in quanto l’immobile o gli immobili oggetto del condominio originario possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, ha ovviamente suscitato un ampio dibattito giurisprudenziale relativamente alla necessità di individuare in concreto proprio la nozione di edifici autonomi.
Che cosa si intende infatti per edificio autonomo, posto che tale può qualificarsi sia l’unità abitativa strutturalmente distaccata, che l’edificio dotato di una sua autonomia gestionale e contabile? Ebbene, secondo l’orientamento prevalente della Suprema Corte (si veda per tutte Cass., civ. sez. II, del 3 settembre 2019, n. 22041), l’espressione “edifici autonomi” ex art. 61 e 62 disp. att., c.c. esclude che il risultato della separazione si concreti in un’autonomia meramente amministrativa, giacché, più che ad un concetto di gestione, il termine ‘edificio’ va riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, dev’essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. La sola eccezione a tale principio è quella prevista dall’art 62 disp. att., c.c., quando l’istituzione di nuovi condomini non è impedita dalla permanenza, in comune di alcune delle cose indicate dall’art 1117 c.c.. Al di fuori di tali interferenze di carattere amministrativo espressamente previste dalla legge, se la separazione del complesso immobiliare può attuarsi solo mediante interferenze più gravi è da escludere che l’edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa. In altri termini, l’espressione “edifici autonomi”, non può ammettere che il risultato della divisione si possa concretizzare in una autonomia meramente amministrativa, poiché, più che ad un concetto di gestione, il termine “edificio” va riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, deve essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. Del tema è tornata ad occuparsi di recente la Cassazione (si veda Cass. civ., Sez. II, sentenza 28 marzo 2022, n. 9846), in relazione alla controversia instaurata da un gruppo di condomini di un edificio facente parte di un complesso composto da tre stabili, i quali chiedevano di disporre lo scioglimento dell’originario condominio e la costituzione di due nuovi enti condominiali, nonché di un supercondominio, con approvazione di nuove tabelle millesimali. Il giudice di primo grado disponeva la divisione dell’edificio e la costituzione di due distinti condomini, individuando gli accessi autonomi e costituendo il supercondominio tra i suddetti edifici, approvando le relative tabelle millesimali; la decisione veniva poi confermata dinanzi alla Corte d’Appello. Avverso detta sentenza, alcuni condomini proponevano ricorso per Cassazione la quale, per quanto di specifico interesse, ne dichiarava l’infondatezza. L’opposizione alla domanda si basava sulla circostanza che, a seguito dello scioglimento, erano rimasti in comune tutti i beni ed i servizi già funzionali al godimento dello stabile originario e non solo alcuni di essi: nella specie, infatti, erano residuati il giardino e le relative recinzioni, l’impianto di riscaldamento costituito da una centrale termica unica, quello fognario e quello idrico. Una volta individuate le parti rimaste in comune, però, era stato accertato che la sentenza era pienamente conforme ai principi dettati dai citati artt. 61 e 62, in base ai quali lo scioglimento del condominio si realizza quando con tale operazione prendano vita condomìni separati, che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi. Questa circostanza, secondo la Corte, “esclude di per sé che il risultato della separazione possa avere una mera valenza amministrativa: il termine ‘edificio’, contenuto nelle disposizioni, evoca la nozione di costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, dev’essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. La sola estensione che può consentirsi a tale interpretazione è quella prevista dall’art. 62 citato, il quale fa riferimento all’art 1117 c.c. (parti comuni dell’edificio in quanto destinate in modo permanente al servizio generale e alla conservazione dell’immobile, riguardato sia nel suo complesso unitario che nella separazione di edifici autonomi). In tal caso, l’istituzione di nuovi condomini non è impedita dalla permanenza in comune delle cose indicate dall’art 1117, la cui disciplina d’uso potrà formare oggetto di particolare regolamentazione riferita alle spese e agli oneri relativi”.