L’amministratore rischia la responsabilità per mala gestio qualora, senza autorizzazione, affidi le attività proprie ad una società terza.
Come noto, al momento della nomina tra condominio e amministratore si instaura un rapporto di natura fiduciaria, per effetto del quale l’amministratore deve svolgere l’incarico con la diligenza del buon padre di famiglia, ponendo in essere condotte rispondenti all’interesse comune dei condòmini.
Secondo un recente orientamento, tale vincolo di fiducia andrebbe inevitabilmente ad incrinarsi nell’ipotesi in cui l’amministratore non svolga personalmente l’incarico conferitogli dall’assemblea, ma nel corso del proprio mandato si avvalga di una propria società che esercita, di fatto, i poteri inerenti alla gestione del condominio.
Sul punto, infatti, si è pronunciato il Tribunale di Milano (Trib. Mi., sez. XIII, 19 gennaio 2022, n. 311, dott.ssa Ferruta), che accertava una responsabilità dell’amministratore di condominio per cattiva gestione della res communis poiché l’amministratore subentrante, in seguito al passaggio di consegne, notava un dissesto della contabilità del condominio con ammanchi nelle scritture contabili e confusione tra il patrimonio del condominio e quello del precedente amministratore, oltre che l’omissione del rendiconto di gestione condominiale e dell’ulteriore documentazione inerente il condominio.
Plurime erano le irregolarità addebitate al precedente amministratore. In primo luogo, gli si contestava l’aver oltrepassato la volontà assembleare svolgendo l’incarico non in maniera autonoma bensì attraverso l’intermediazione di una società di cui egli era socio di maggioranza ed amministratore unico. Il condominio riteneva sussistente un «coinvolgimento della Società sia nei rapporti con il Condominio, sia nei rapporti con i fornitori terzi», nonostante l’assemblea non avesse attribuito l’incarico alla società. Si giungeva a tale conclusione sulla base di varie considerazioni: (i) la società aveva come oggetto sociale – tra gli altri – lo svolgimento dell’attività di amministrazione condominiale; (ii) dal conto corrente condominiale risultavano effettuati numerosi accrediti a favore della società, senza una formale giustificazione, non essendoci un rapporto contrattuale tra la società ed il condominio; (iii) l’amministratore utilizzava, per le comunicazioni con i fornitori, la carta intestata della società. Inoltre, nella lettera indirizzata al condominio contenente la proposta di una soluzione bonaria della controversia, l’amministratore riferiva che «l’ammanco di cui alle scritture contabili fosse stato causato dall’attività fraudolenta di un collaboratore della società», dimostrando quindi che «la Società, ed i relativi collaboratori, fossero nella possibilità di accedere al conto corrente del Condominio». Evidente era perciò la confusione tra il patrimonio del condominio ed i patrimoni personali sia dell’amministratore uscente che della società, realizzando – in capo ai convenuti – una responsabilità contrattuale ex art. 1218 cod. civ.
Ulteriore elemento a dimostrazione della mala gestio dell’amministratore risultava dal consuntivo consegnato al nuovo amministratore al momento del passaggio di consegne. Come si ricava dall’analisi contabile dei rendiconti effettuata dal consulente tecnico nominato dal Tribunale, vi erano delle discrepanze tra «quanto messo per iscritto nei consuntivi e quanto effettivamente versato dai condomini a titolo di spese condominiali, a copertura di quanto dovuto ai fornitori». Nello specifico, la CTU evidenziava «operazioni in addebito per le quali non è stato possibile risalire a voci nei consuntivi e/o preventivi presenti […]; mancato accantonamento del fondo TFR del custode […]; debiti verso fornitori non ancora pagati».
Per di più, il giudice meneghino traeva argomenti di prova a sostegno delle proprie argomentazioni anche dalla condanna – seppur non definitiva – dell’amministratore in sede penale per appropriazione indebita di somme versate dai condòmini e destinate ai terzi fornitori di beni e servizi per il condominio. Riscontrabile era dunque un’ipotesi di responsabilità sia civile che penale in capo all’amministratore, dovuto ad incongruenze nella contabilità del condominio tra quanto dichiarato nei consuntivi e quanto effettivamente versato dai condòmini, nonché causato dall’appropriazione indebita di parte di somme versate dai condomini ed usate a vantaggio personale dell’amministratore anziché per far fronte ai debiti condominiali verso terzi.
Infine, era configurabile una responsabilità per mala gestio dell’amministratore per aver violato il dovere – previsto dall’art. 1129 cod. civ. – di produrre il rendiconto di gestione condominiale e consegnare, al momento di cessazione dell’incarico, tutta la documentazione afferente al condominio. Di conseguenza, il Tribunale milanese condannava i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno ed alla presentazione del rendiconto finale di gestione e di tutta la documentazione inerente al condominio.