Una recente decisione della Corte di Cassazione (v. ordinanza n. 12377 del 9 maggio 2023) induce a qualche interessante riflessione in ordine alla “opportunità” della presenza dell’amministratore nella riunione condominiale e alla “possibilità” di un suo conflitto di interessi con la compagine condominiale.
La causa originava da un’impugnazione, promossa da condomino, nei confronti di una delibera assembleare, nella parte si era decisa l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria della pavimentazione e della rete fognaria comuni, affidandoli ad una società, lamentando che l’amministratore del condominio fosse anche socio ed amministratore unico della società aggiudicataria.
Il Tribunale adìto, preso atto che la delibera era stata revocata dall’assemblea nel corso del giudizio, aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere e, in applicazione del criterio della soccombenza virtuale, aveva regolato le spese processuali ponendole a carico del convenuto, ravvisando un conflitto di interessi tra il deliberato e l’amministratore.
Interposto appello unicamente sul capo della pronuncia riguardante le spese di lite, la Corte territoriale aveva riformato la decisione impugnata, condannando il condomino attore al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, reputando, al contrario, che la qualità di socio ed amministratore unico della società aggiudicataria, rivestita dall’amministratore di condominio, non fosse causa di invalidità della delibera, non risultando nemmeno allegato che quest’ultimo avesse indotto in un qualche errore l’assemblea, viziandone la volontà.
Per l’annullamento di tale sentenza, il condomino soccombente aveva proposto ricorso per cassazione.
In particolare, il ricorrente – denunciando la violazione degli artt. 2373 e 2377 c.c. – lamentava che la Corte territoriale, al fine di stabilire quale fosse la parte soccombente, avesse ritenuto irrilevante il fatto che l’assemblea avesse revocato la delibera impugnata e non avesse considerato che, comunque, la stessa delibera era stata adottata in una situazione di conflitto di interessi tra il condominio ed il suo amministratore, il quale, essendo socio e amministratore unico della società aggiudicataria dei lavori, era “chiaramente portatore di un interesse personale in conflitto con quello condominiale”.
I giudici di Piazza Cavour hanno considerato tale assunto non meritevole di accoglimento.
Invero, il giudice del gravame aveva esaminato la successiva delibera di revoca, precisando che, non avendo essa esplicitato le ragioni della stessa, non potevano trarsi dalla sua adozione elementi univoci di riconoscimento della fondatezza delle ragioni del ricorrente, e tale conclusione risultava esente da censure e, traducendosi in un apprezzamento di fatto, non era sindacabile in sede di giudizio di legittimità.
Ma anche la seconda critica – che maggiormente interessa queste brevi note – era priva di pregio, in quanto, ad avviso degli ermellini, “il conflitto di interessi che la legge, a determinate condizioni, prende in considerazione come causa di annullamento della delibera assembleare è soltanto quello rinvenibile tra coloro che, partecipando al voto, concorrono alla formazione della volontà collettiva, laddove l’amministratore presenzia ma non partecipa all’assemblea e non ha diritto di voto, a meno che sia egli stesso condomino” (ma non era quello il caso di specie).
In quest’ordine di concetti, bene aveva fatto la Corte distrettuale a ritenere il motivo di impugnativa infondato, in assenza di qualsiasi deduzione, da parte del condomino impugnante, circa l’influenza che l’amministratore avrebbe esercitato sui votanti al fine di orientarne le scelte, in diparte ogni ulteriore valutazione sull’idoneità di tale intervento a determinare un vizio di volontà dell’assemblea.
A questo punto, va, in primo luogo, verificato se, a fronte del silenzio del legislatore codicistico, la presenza dell’amministratore all’assemblea condominiale sia o meno opportuna.
A stretto rigore, la competenza dell’amministratore, circa lo svolgimento dell’assemblea, dovrebbe terminare “prima” dello svolgimento della riunione vera e propria, mediante l’invio dell’avviso di convocazione e la raccolta dei documenti giustificativi di tale comunicazione, che mette a disposizione dei condomini, unitamente a quei documenti in suo possesso necessari al proficuo svolgimento della stessa adunanza.
Va, infatti, rilevato che non si rinviene alcuna norma che regoli i diritti/doveri dell’amministratore all’interno della riunione assembleare, ed anche la giurisprudenza non ha adottato decisioni esplicite sul punto, poiché è difficile scorgere vizi di una delibera soltanto perché vi era presente l’amministratore, a meno che non si siano riscontrate condotte tali da giustificarne la revoca giudiziaria per le “gravi irregolarità” di cui al novellato art. 1129, comma 11, c.c. (ad esempio, per aver influenzato i condomini facendo convergere i consensi verso l’approvazione di un dato lavoro mediante falsa rappresentazione dello stato dei luoghi).
Al contempo, si osserva, innanzitutto, che l’amministratore, una volta che abbia provveduto alla convocazione all’assemblea, non può “disinteressarsi” delle ulteriori vicende di essa, nel senso che è opportuno che presenzi, quanto meno al momento dell’avvio dei lavori della riunione, affinché inviti i condomini all’elezione del segretario e del presidente nonché agevoli l’attività di quest’ultimo in ordine al controllo delle presenze degli aventi diritto, della regolarità delle deleghe e della rituale convocazione, costituzione e svolgimento dell’assemblea, mediante l’esibizione di tutta la documentazione relativa.
Inoltre, l’amministratore è il naturale depositario di tutti le “pezze giustificative” relative alla gestione del condominio, sicché è l’unico in grado di supportare, dal punto di vista probatorio, tutti gli importi erogati per la conservazione delle cose comuni e per la prestazione dei servizi generali, di illustrare i criteri adottati nelle somme spese per la manutenzione ordinaria, di mostrare i preventivi raccolti per gli eventuali lavori straordinari urgenti eseguiti, di giustificare sue condotte eventualmente non conformi con le delibere adottate, di prospettare le linee essenziali del suo programma in caso di rinnovo nell’incarico, e quant’altro (specie a seguito del contenuto, più ricco ed articolato, che ha assunto il “rendiconto condominiale” alla luce del nuovo art. 1130-bis c.c.).
Peraltro, l’amministratore, per la sua figura di mandatario, deve compiere non solo gli atti per i quali gli è stato conferito il mandato, ma anche quelli che sono necessari al suo compimento (art. 1798 c.c.), per cui vanno ricompresi ad ogni effetto, nell’oggetto del medesimo mandato, tutti gli atti, sia preparatori che consequenziali, anche materiali e non necessariamente giuridici, rispetto a quelli dedotti espressamente, per il compimento dei quali si riveli indispensabile una precisa e compiuta esecuzione dell’incarico.
In quest’ordine di concetti, è auspicabile, quindi, una partecipazione attiva dell’amministratore, nel senso di dare chiarimenti, offrire informazioni, esprimere pareri, esibire documenti, al fine anche di adempiere a tutti quei compiti connessi alle attribuzioni espressamente affidate dal regolamento e dalla legge, ed ampliate dalla Riforma del 2013 (segnatamente qualora si opti per lo svolgimento dell’assemblea in “videoconferenza”, consentita dal nuovo art. 66, commi 3 e 6, disp. att. c.c., novellato dalla legislazione emergenziale, che, indubbiamente, quantomeno nella fase iniziale, presenta varie criticità operative).
Diverso discorso attiene alla posizione di eventuale “conflitto di interessi” che l’amministratore potrebbe rivestire in proprio rispetto agli interessi del condominio complessivamente considerato, problematica anche questa non affrontata dal legislatore codicistico, se non indirettamente attraverso la questione se l’amministratore possa essere destinatario di delega da parti di uno o più condomini.
Nell’acceso dibattito giurisprudenziale che si era sviluppato in proposito, la Riforma del 2013 è intervenuta con una soluzione tranchant, secondo la quale “all’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”, come espressamente prescritto ora dall’art. 67, comma 5, disp. att. c.c.
La legge n. 220/2012 ha voluto vietare quella frequente abitudine, da parte dei condomini – per i quali, forse, l’intervento alle riunioni costituisce un fastidio e la ricerca di un fiduciario comporta difficoltà – di dare la delega all’amministratore, in quanto, indubbiamente, la posizione di quest’ultimo è peculiare, poiché, tra l’altro, lo stesso riveste la figura di soggetto subordinato al massimo organo gestorio ed obbligato a rendere conto del suo operato all’assemblea.
Si è così preferito ritenere che fosse illegittimo tout court il conferimento all’amministratore, da parte del condomino, della delega a rappresentarlo in assemblea, e ciò anche qualora non si discuti e si voti su argomenti che involgono la carica (nomina, riconferma o revoca) e la condotta del predetto mandatario (come, ad esempio, l’approvazione del conto della gestione ex art. 1135, n. 3, c.c., che, altrimenti, potrebbe considerarsi valida se ha ottenuto il solo voto dell’amministratore, per assurdo, delegato da tutti i condomini).
In quest’ottica, il divieto de quo si ispira probabilmente alla necessità di assicurare un più efficace e limpido funzionamento dell’organo gestorio, specie se l’assemblea debba deliberare sull’operato dell’amministratore stesso, potendo quest’ultimo trovarsi in una situazione conflittuale, poiché tentato di far prevalere il suo personale interesse, valendosi, per la votazione, delle deleghe ricevute dai condomini, che probabilmente non le avrebbero rilasciate se avessero conosciuto come stavano realmente le cose.
Del resto, quanto ora prescritto può reputarsi applicazione di un principio generale nemo iudex in causa propria, per il quale il controllato – l’amministratore – non può essere contemporaneamente, per effetto della delega del condomino, controllore di se stesso (anche se problemi potrebbero sorgere qualora l’amministratore sia anche lui stesso condomino e, in tale veste, destinatario di deleghe).
Tale soluzione può, tuttavia, prestare il fianco a qualche critica, atteso che anche il rendiconto della gestione dell’amministratore è un argomento che deve risultare dall’ordine del giorno, per cui il condomino, che conferisce la delega all’amministratore senza alcuna limitazione, sa perfettamente che la stessa comporta anche l’approvazione dell’attività da lui svolta e, con il fatto stesso di conferirgli la delega, gli manifesta nuovamente e chiaramente tutta la sua fiducia (l’amministratore, di regola, dovrebbe essere la persona che gode di maggior fiducia tra i condomini!).
Questo modo di procedere all’approvazione del rendiconto potrebbe considerarsi scorretto nel caso in cui l’amministratore tentasse di coprire o sanare talune sue manchevolezze o malefatte, ma, se la gestione risulta ordinata e lineare, non si vede perché il condomino, che intenda approvarla consapevolmente, debba conferire la delega ad un terzo.
Qualora, invece, la gestione non fosse oculata ed ineccepibile, e l’amministratore fosse colpevole di qualche abuso, i condomini che ne avessero subìto un pregiudizio, potrebbero pur sempre impugnare la delibera di approvazione del rendiconto, o comunque ricorrere al magistrato per il relativo risarcimento, salvo sempre il rimedio della destituzione giudiziaria per “gravi irregolarità” (come sopra delineata).