Con una pronuncia di grande chiarezza interpretativa la Sezione II della Corte di Cassazione è intervenuta a “mettere ordine” nell’intricata e sempre dibattuta questione dell’invalidità della delibera assembleare, fatta valere nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
L’ordinanza del 27.03.2024, n. 8315, prende infatti in esame la vicenda di una società, costruttrice di uno stabile condominiale e proprietaria di alcune unità immobiliari nello stesso, che, ricevuto un decreto ingiuntivo per circa 6 mila euro in relazione ad oneri condominiali non pagati, si oppose al provvedimento monitorio, impugnando altresì la delibera assembleare perché adottata in contrasto con le tabelle millesimali contrattuali.
I giudici del merito rigettarono entrambi tale opposizione che giunse così in Cassazione.
Nel dettaglio, la società ricorrente sosteneva che la delibera assembleare di ripartizione delle spese condominiali fosse nulla, poiché in contrasto con le tabelle millesimali contrattuali predisposte dal costruttore (ossia dalla ricorrente stessa) e allegate agli atti di acquisto delle singole unità abitative.
Da tale assunto, la società faceva altresì discendere la tempestività del ricorso, contrariamente a quanto rilevato dai giudici di merito, che l’avevano invece dichiarata decaduta dall’azione, non avendo essa impugnato la delibera entro i 30 giorni previsti dall’art. 1137 c.c..
Il percorso argomentativo posto a fondamento della decisione della Suprema Corte prende invero le mosse dall’analisi circostanziata del contenuto dell’art. 1123 c.c..
Secondo i giudici di Piazza Cavour, la legge individua tre criteri di ripartizione delle spese condominiali: il riparto proporzionale (art. 1123, co. 1, c.c.), quello in base all’uso differenziato (art. 1123, co. 2, c.c.) e, da ultimo, quello in base all’uso separato (art. 1123, co. 3, c.c.).
Al di fuori di questi metodi di divisione delle spese, sono ammissibili “criteri in deroga”: l’art. 1123, co. 1, c.c., fa salva ogni diversa convenzione e solo le tabelle contrattuali, adottate all’unanimità, posso derogare ai criteri legali.
Per quanto attiene alla ripartizione proporzionale, la norma prevede che siano sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno le spese necessarie:
- per la conservazione,
- per il godimento delle parti comuni dell’edificio,
- per la prestazione dei servizi nell’interesse comune,
- per le innovazioni deliberate dalla maggioranza.
Con riguardo invece alla ripartizione in base all’uso differenziato, la legge dispone che, se i beni comuni sono destinati a servire i condomini in misura diversa, le spese siano ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.
Come accade invero di frequente, infatti, non tutti i beni sono posti a servizio dei vari condomini in egual misura, facendo la disposizione riferimento non all’uso effettivo della cosa, ma a quello potenziale (tipicamente nel caso delle scale e degli ascensori).
Infine, per quanto attiene alla ripartizione in base all’uso separato, essa avviene nell’ipotesi in cui un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, nel qual caso si parla di condominio parziario e le spese relative alla manutenzione dei beni in questione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità, ossia che ne fa un uso separato (art. 1123 co. 3 c.c.).
A questo punto la Suprema Corte, richiamandosi ad un orientamento ormai consolidato (Cass. 6735/2020; Cass. SS. UU. 18477/2010), ricorda che le tabelle contrattuali postulano il consenso unanime dei condomini – sia per l’approvazione che per la modifica – e che la natura contrattuale delle medesime emerge dal loro contenuto, in quanto derogante il regime legale di ripartizione delle spese, come è desumibile dall’art. 1123 c.c. che fa salva la “diversa convenzione” contenuta proprio in una tabella millesimale contrattuale
Le tabelle che invece non deroghino ai criteri legali, ma abbiano natura meramente ricognitiva degli stessi, possono essere approvate e modificate con la maggioranza di cui all’art. 1136 c. 2 c.c..
Chiarisce così la Cassazione che non possono considerarsi contrattuali le tabelle per il solo fatto di essere state predisposte dal costruttore e allegate ai titoli di acquisto, dovendosi ritenere tali quelle da cui emerga espressamente la deroga al regime legale di ripartizione delle spese.
Sono pertanto da ritenersi nulle – secondo i giudici di legittimità – le delibere che, a maggioranza, stabiliscano o modifichino, per il futuro, i criteri generali di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione; devono di contro ritenersi meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese, che siano adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessa.
Nel caso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il pagamento degli oneri condominiali, il giudice può quindi sindacare la nullità della delibera posta a fondamento del provvedimento monitorio (sollevata dalla parte o rilevata d’ufficio) o l’annullabilità della medesima.
Essa rappresenta infatti il fondamento dell’ingiunzione di pagamento, ben potendo il giudicante accertarne la validità.
Siffatto principio, mutuato da una recente pronunzia delle Sezioni Unite (Cass. SS. UU. 9839/2021) rende evidente che, in caso di annullabilità, l’opponente deve far valere il vizio in via d’azione in via riconvenzionale e non d’eccezione.
Nell’atto di citazione in opposizione – notificato nel termine di trenta giorni decorrenti dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti (ex art. 1137 c. 2 c.c.) – è pertanto -concludono i giudici – inammissibile l’eccezione di annullabilità sollevata dall’opponente, in relazione alla delibera posta a fondamento del decreto ingiuntivo, senza la richiesta di una pronuncia di annullamento.