admin@arprm

ILLEGITTIMA LA RICHIESTA DEI CONTRIBUTI CONDOMINIALI RIVOLTA ALL’ASSEGNATARIO DELLA CASA CONIUGALE

Non è raro che l’amministratore, a fronte di una perdurante morosità, si rivolga – in sede stragiudiziale e, in caso di negativo, in via giudiziaria (con un procedimento monitorio o con un giudizio ordinario) – nei confronti del soggetto che “abita” nell’appartamento cui si riferiscono i contributi condominiali inevasi e, soprattutto, che si comporta come un “vero e proprio condomino”.  

Accade, però, che il destinatario di tale richiesta eccepisca il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo il vero legittimato solo il proprietario dell’unità immobiliare, per cui occorre impostare, di nuovo e correttamente, l’azione giudiziaria, con notevole perdita di tempo e denaro.

Finora, la giurisprudenza a quanto consta si era occupata delle fattispecie relative alle figure delconduttore, del comodatario e dell’usufruttuario, per cui va salutata con favore la recente precisazione (v. Cass. 23 maggio 2022, n. 16613) con riferimento al coniuge assegnatario della casa coniugale.

La causa originava da un decreto ingiuntivo, ottenuto dal Condominio, per il pagamento delle spese condominiali, nei confronti di una “apparente condomina”; quest’ultima aveva proposto, davanti al Giudice di Pace, opposizione avverso il provvedimento monitorio, che, però, era stata rigettata dal giudice onorario.

L’appello aveva, invece, avuto esito favorevole, atteso che il Tribunale aveva ritenuto il suo difetto di legittimazione passiva rispetto alle pretese creditorie avanzate dal Condominio, essendo l’appellante mera assegnataria della casa familiare di proprietà esclusiva del coniuge – a seguito di separazione personale, conseguendone così la riforma della sentenza di prime cure, la revoca del decreto ingiuntivo intimato dal Condominio e la condanna dell’ingiungente al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio.

Il rilievo fondante della decisione di gravame era che le deliberazioni assembleari, con cui venivanoripartite le spese condominiali, risultavano azionabili soltanto nei confronti dei soggetti condomini, in quanto unici legittimati a partecipare all’assemblea medesima esercitando il diritto di voto, precisando ulteriormente che il soggetto assegnatario della casa coniugale acquista un semplice diritto di godimento sul bene il che avrebbe impedito, peraltro, l’applicabilità del disposto dell’ultimo comma dell’art. 67 disp. att. c.c. inidoneo a far gravare sull’assegnatario medesimo l’obbligo di pagamento delle spese condominiali.

Ad avviso del Tribunale, il principio per cui le spese condominiali, concernenti la casa familiare oggetto di provvedimento di assegnazione, restavano a carico dell’assegnatario spiegava i propri effetti solo nei rapporti interni tra i coniugi, senza rivestire rilevanza alcuna nei confronti del Condominio.

Con il ricorso per cassazione, quest’ultimo censurava la sentenza impugnata, nella parte in cui avevaritenuto l’originaria opponente esclusa dall’obbligo di pagamento delle spese condominiali in quanto assegnataria della casa familiare – in violazione degli artt. 1104, 1123 e 1218 c.c. nonché dell’art. 63 disp. att. c.c. stante che l’assegnataria, alla luce delle statuizioni rese nei procedimenti di separazione e di divorzio, doveva ritenersi il soggetto sul quale incombevano le spese relative alla manutenzione e all’uso del bene, evidenziando, altresì, la “contraddittorietà” del contegno processuale di quest’ultima, la quale, pur affermandosi non condomina, aveva proceduto, in corso di lite e in distinti giudizi, ad eccepire vizi delle delibere assembleari e delle tabelle millesimali, ed a promuovere un procedimento di accertamento tecnico preventivo (il tutto, con un “valore pienamente confessorio della posizione di obbligata verso il Condominio”).

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondate tali doglianze.

Al riguardo, si è richiamato il costante orientamento, secondo il quale l’amministratore del Condominio ha diritto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. nonché dell’art. 63, comma 1, disp. att. c.c., di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi, nell’interesse comune, direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, e cioè di ciascuno dei titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, restando esclusa un’azione diretta anche nei confronti del conduttore della singola unità immobiliare contro il quale può, invece, agire in risoluzione il locatore, ove si tratti di oneri posti a carico del locatario sulla base del rapporto contrattuale fra loro intercorrente tant’è che si afferma risolutivamente che, di fronte al condominio, esistono solo i condomini (v., tra le altre, Cass. 25 ottobre 2018, n. 27162, in Arch. loc. e cond., 2019, 50, segnatamente con riferimento all‘utilizzatore di un’unità immobiliare a titolo di leasing; Cass. 3 febbraio 1994, n. 1104, id., 1994, 559).

Per il recupero della quota di spese di competenza di ununità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato, quindi, soltanto il vero proprietario della suddetta unità, e non anche chi possa apparire tale, poiché difettano, nei rapporti fra il Condominio e singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell’affidamento del terzo in buona fede (v., altresì, Cass. 9 ottobre 2017, n. 23621, in Foro it., Rep. 2017, voce Comunione e condominio, n. 198).

In quest’ordine di concetti, non ha alcun rilievo quanto il ricorrente deduceva nel libello impugnatorio, evidenziando che, “agli occhi del Condominio”, si era determinato il giustificato convincimento che le due situazioni (assegnataria e condomina) coincidessero, atteso che questa argomentazione contrasta con quanto gli ermellini sostengono univocamente a far tempo almeno dal noto intervento del supremo organo di nomofilachia del 2002 (v., in particolare, Cass. S.U. 8 aprile 2002, n. 5035, che può leggersi in Danno e resp., 2002, 603, con nota di Carbone, in Giust. civ., 2002, I, 1827, con nota di Izzo, in Guida al diritto, 2002, fasc. 17, 42, con nota di Piselli, e in Corr. giur., 2002, 1577, con nota di Villani).

Pertanto – ad avviso dei magistrati del Palazzaccio – è corretto affermare che, per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali inerenti alla casa familiare, oggetto di assegnazione in sede di separazione o di divorzio, occorre distinguere tra le spese che sono dovute dal coniuge assegnatario, il quale utilizza in concreto l’immobile (per esempio, servizio di pulizia, riscaldamento), e quelle che rimangono a carico del coniuge proprietario esclusivo dell’immobile (per esempio, spese di manutenzione straordinaria) (v. Cass. 24 luglio 2000, n. 9689, in Foro it., Rep. 2000, voce Matrimonio, n. 169).

L’essenziale gratuità dell’assegnazione della casa familiare esonera, infatti, l’assegnatario dal pagamento di un corrispettivo per il godimento dell’abitazione di proprietà dell’altro, ma non si estende alle spese correlate all’uso tra cui, appunto, i contributi condominiali inerenti alla manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’alloggio familiare spese che, in mancanza di un provvedimento espresso del giudice della separazione o del divorzio, che ne accolli l’onere al coniuge proprietario, vanno a carico del coniuge assegnatario (v., ex multis, Cass. 22 febbraio 2006, n. 3836, in Foro it., Rep. 2006, voce Separazione di coniugi, n. 204; Cass. 19 settembre 2005, n. 18476, in Corr. giur., 2005, 3561, con riferimento all’imposta comunale sugli immobili; Cass. 30 luglio 1997, n. 7127, in Arch. loc. e cond., 1997, 789, richiedendo che gli oneri condominiali siano oggetto di uno specifico accertamento nel loro ammontare e vengano attribuite nel rispetto dei criteri sanciti dai commi 1 e 2 dell’art. 156 c.c.; Cass. 3 giugno 1994, n. 5374, id., 1994, 772).

Tuttavia, il diritto di godimento della casa familiare”, spettante al coniuge o al convivente affidatario di figli minori, oppure al convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, in forza di provvedimento giudiziale opponibile anche ai terzi, è un diritto personale di godimento sui generis – v., per tutte, Cass. S.U. 29 settembre 2014, n. 20448, in Famiglia e diritto, 2015, 5, annotata da Russo; Cass. S.U. 21 luglio 2004, n. 13603, in Immobili & diritto, 2005, fasc. 1, 14, con nota di Scarano; Cass. S.U. 26 luglio 2002, n. 11096, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 470, commentata da Busani – sicché esso non rileva ai fini della pretesa dell’amministratore condominiale, ai sensi degli artt. 1123, 1130, n. 3), c.c. nonché 63, comma 1, disp. att. c.c., volta a riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell’interesse comune, restando esclusa un’azione diretta nei confronti dell’assegnatario della singola unità immobiliare.

Al riguardo, il ricorrente aveva dimostrato di confondere il profilo del rapporto corrente tra l’assegnatario della casa familiare ed il proprietario dell’immobile assegnato, ed il diverso profilo del rapporto corrente tra il Condominio ed il condomino tenuto al pagamento dei contributi.

La realtà condominiale, purtroppo, registra casi in cui un soggetto si comporti da vero condomino, ma, una volta moroso nei pagamenti dei contributi, qualora gli si intima giudizialmente di adempiere il suo obbligo eccepisce di non essere proprietario dell’appartamento de quo; in pratica, l’amministratore pretende dall’apparente condomino la riscossione delle quote condominiali, avendo quest’ultimo ingenerato la convinzione di essere effettivo proprietario (senza, però, esserlo) dell’unità immobiliare cui quelle quote afferivano, tuttavia, si vede opporre – come nella fattispecie analizzata dalla sentenza in commento – il difetto di legittimazione passiva.

E’ vero che, nelle vicende su accennate, si potrebbe, con l’ordinaria diligenza, verificare l’effettiva titolarità del bene atteso il regime di pubblicità contemplato per i beni immobili nel nostro ordinamento – in pratica, perdendo tempo e sprecando denaro – ma è altrettanto vero che non può premiarsi così la condotta (non certo in buona fede) di colui che, comportandosi sempre come legittimo proprietario, all’improvviso adduca di non essere condomino, invocando il rispetto della legalità e della trasparenza, ma in realtà solo per giustificare l’insolvenza ed esimersi dal pagare il dovuto.

A fronte di comportamenti palesi che spesso inducono in errore, ed alla luce delle frequenti vicende che possono interessare la singola unità immobiliare, sembra eccessivo pretendere dall’amministratore, in difetto di collaborazione da parte dei condomini interessati, ora imposta dall’art. 1130, n. 6), c.c., un puntuale aggiornamento dell’anagrafe condominialela cui irregolare tenuta, peraltro, è causa di possibile revoca giudiziaria ai sensi dell’art. 1129, comma 12, n. 7, c.c. incombente, quest’ultimo, che richiede faticose ricerche presso l’Agenzia delle Entrate – Agenzia del territorio, ex Conservatoria dei registri immobiliari.

Non si nasconde, al contempo, che l’accertamento del titolo di proprietà integra un preciso interesse anche dell’amministratore per agire nei confronti dell’effettivo titolare dell’unità immobiliare, perché quest’ultima costituisce la garanzia principale del credito vantato, che, invece, potrebbe rivelarsi insussistente nei confronti del condomino apparente inadempiente, con vanificazione dello stesso recupero coattivo.

Tuttavia, tale accertamento della situazione effettiva, rientrando nella procedura di recupero, dovrebbe quantomeno comportare l’accollo delle relative spese al condomino “effettivo” che le ha provocate, non avendo adempiuto al dovere di informativa sul mutamento della vicenda condominiale, ed avendo con il suo comportamento omissivo provocato difficoltà gestionali nel condominio.