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ILLECITI PENALI IN MATERIA DI “BONUS EDILIZI”

LA CASSAZIONE CONFERMA IL SEQUESTRO DEI FALSI CREDITI D’IMPOSTA.

La “storia travagliata” dei bonus edilizi pare non avere fine: al lungo balletto delle limitazioni di legge alla cedibilità dei crediti d’imposta – che ha nei fatti provocato un blocco delle pratiche già avviate a motivo dell’elevato rischio, per le ditte cui i lavori siano stati commissionati, di non poter rientrare dei costi delle lavorazioni – si è di recente aggiunto il colpo di scure della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione che, con la sentenza dello scorso 8 novembre 2022 (ud. 13 ottobre 2022), n. 42012, ha affermato due importanti principi: l’uno, di diritto sostanziale, afferente alla configurabilità del reato fiscale di cui all’art. 8 del D.lgs. n. 74/00; l’altro, in materia processuale, attinente all’applicabilità, nel caso di specie, del c.d. sequestro preventivo.

Chiariscono infatti gli Emellini che integra il fumus del delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti la condotta di chi, avendo monetizzato il credito derivante dalla realizzazione di opere suscettibili di fruire dell’agevolazione fiscale del cd. “superbonus 110% mediante la sua cessione o lo “sconto in fattura” ex art. 121 d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, effettui la fatturazione “in acconto” di spese relative a opere non ultimate o per le quali non sia stato emesso, da un tecnico abilitato, uno stato di avanzamento lavori” attestante l’esecuzione di una porzione dell’intervento “agevolabile” e la congruità delle spese per esso sostenute, posto che l’emissione di tali fatture mira a simulare l’esistenza di spese in concreto non ancora sopportate e a creare fittiziamente il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione.

La Corte, inoltre, si è espressa a favore del sequestro sul portale dell’Agenzia delle Entrate dei falsi crediti d’imposta nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, confermando l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Foggia che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso contro il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP, avente a oggetto le quote e le aziende di alcune società riferibili agli indagati, i crediti d’imposta nella disponibilità delle società medesime nonché quelli dalle stesse ceduti, anche presso terzi cessionari, per un importo complessivo superiore a un miliardo di euro.

Tale sequestro è stato eseguito – e la Suprema Corte con la sentenza qui in commento ne ha ribadito la fondata praticabilità – mediante blocco sul portale dell’Agenzia delle Entrate e corrispondente riduzione del plafond di crediti fiscali compensabili nei rispettivi cassetti fiscali, nominando apposito amministratore giudiziario, il tutto relativamente agli ipotizzati reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e truffa aggravata ai danni dello Stato.

Il Tribunale, puntualizzano i giudici di legittimità, ha puntualmente ricostruito il meccanismo fraudolento messo in atto dai ricorrenti, i quali, attraverso società a loro riferibili, abusando del regime delle detrazioni fiscali collegate agli interventi edilizi di cui al D.L. n. 34/2020, nonché di quelli previsti dalla disciplina previgente del c.d. “Ecosismabonus” (D.L. n. 63/2013), avrebbero tratto profitto illecito dalla creazione e successiva cessione a terzi di crediti d’imposta inesistenti.

La simulazione della sussistenza dei presupposti costitutivi del beneficio fiscale ha perciò consentito agli indagati di realizzare un duplice obiettivo: da un lato, l’indebito conseguimento di ingenti liquidità monetarie di lecita provenienza, ottenute attraverso la cessione dei crediti a banche o intermediari finanziari, in talune ipotesi, attraverso la previa cessione intermedia a società oppure a persone fisiche compiacenti; dall’altro, l’elusione fiscale attuata mediante indebita compensazione dei crediti d’imposta, con conseguente locupletazione dei profitti derivanti dall’omesso versamento delle imposte dovute (c.d. risparmio di spesa).

A fronte di questa ricostruzione, non è servito ai ricorrenti eccepire l’insussistenza del fumus del reato fiscale di cui all’art. 8 del D.lgs. n. 74/00: la Corte ha sul punto ritenuto che «l’emissione delle false fatture commerciali ha avuto la funzione di simulare l’esistenza delle relative spese e creare così fittiziamente il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione.

I correlati crediti di imposta, di importo corrispondente alla detrazione fittiziamente creata, sono, dunque, inesistenti in realtà, ma esistenti sulla carta e idonei all’utilizzo fiscale. Quanto sopra rende astrattamente configurabile il delitto in esame con riferimento alle fatture (…) ed ai documenti aventi valore analogo alle fatture (…), emesse dagli indagati al fine di comprovare l’esecuzione dei lavori ed il pagamento delle relative spese».

Il Collegio, nel contesto della corposa motivazione della sentenza in esame, ha pure osservato che l’informatizzazione delle procedure tributarie attribuisce immediata efficacia all’iscrizione nel sistema informatico della situazione debitoria del contribuente, sicché l’alterazione di documenti informatici preordinata a simulare l’esistenza di un credito d’imposta, come la comunicazione dell’opzione ex art. 121 D.L. n. 34/2020, produce, con l’accettazione dell’Amministrazione finanziaria che rilascia la relativa ricevuta, l’immediato illecito arricchimento del contribuente e correlativo danno per l’Erario, conseguente all’eliminazione, in tutto o in parte, del debito tributario.

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