Quando le parti comuni sono destinate a servire i proprietari in misura diversa (vedi, ad es., abitazioni al piano terra e negozi con solo accesso dalla via pubblica), le relative spese vanno ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne
La Corte di Cassazione con l’ordinanza del 12 settembre 2018, n. 22157 ha stabilito che ai sensi dell’art. 1124 c.c., sia nella precedente sia nell’attuale formulazione, le spese riguardanti la manutenzione e la ricostruzione (sostituzione) dell’ascensore, al pari delle scale, devono essere ripartite tra i proprietari delle unità immobiliari per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo, con la precisazione che, ai fini del concorso nella metà della spesa, si considerano come piani, anche le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune.
La vicenda vedeva contrapposti il condominio e una condomina, che contestava l’inclusione nelle spese, la manutenzione straordinaria di un ascensore.
Il ricorso in Cassazione era articolato in quattro motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1559/2017, che aveva accolto l’appello del condominio, contro la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina, n. 322/2008, e così rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei confronti della condomina per il pagamento delle spese dei lavori di sostituzione dell’impianto di ascensore.
Il regolamento contrattuale del condominio agli artt. 2 e 10, comma 3, prevedeva l’appartenenza dell’ascensore «in comproprietà pro indiviso e indivisibile» a tutti i proprietari di unità immobiliari, ponendo a loro carico in proporzione dei rispettivi valori delle singole porzioni le spese per il rinnovamento o la manutenzione straordinaria dell’impianto di ascensore (stabilendosi, al contrario, l’esonero dall’obbligo di contribuzione per le spese ordinarie e di esercizio per i condomini che non potevano servirsene).
Dopo l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da una condomina, avverso l’ingiunzione di pagamento a istanza del condominio, afferente le spese per il «rinnovamento o la manutenzione straordinaria dell’impianto di ascensore», il Tribunale di Latina, Sezione distaccata di Terracina, accoglieva l’opposizione ritenendo incidentalmente nulla la delibera di approvazione delle spese sopra dette.
La Corte di Appello di Roma, poi investita della questione, in riforma della sentenza di primo grado, approvava l’appello del condomino rigettando, pertanto, l’opposizione del condominio.
Il Giudice di secondo grado, premessa, semmai, la mera annullabilità della delibera posta a fondamento del decreto ingiuntivo – e non l’affermata nullità della stessa statuita dal Tribunale –, pur ritenendo formatosi il giudicato sul punto in assenza di specifica censura, giudicava meritevole di riforma la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto esonerata la condomina opponente dalla partecipazione alle spese di sostituzione completa dell’ascensore, nonostante la stessa fosse proprietaria di locali posti al piano terra, con unico accesso dalla via pubblica.
Proponeva ricorso per cassazione la condomina soccombente eccependo, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, 1124, 1363 c.c., e dell’art. 8 del regolamento di condominio.
La Corte di Cassazione premette che, in materia di opposizione a decreto ingiuntivo riguardante le spese condominiali, non possono esser fatte valere questioni attinenti all’annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione. La stessa, infatti, se non sospesa o annullata nell’apposito giudizio d’impugnativa, è titolo sufficiente alla concessione del decreto ingiuntivo.
Secondo la Corte è da ribadire in premessa che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti all’annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione.
Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere. Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137, comma 2, c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione.
La Suprema Corte ha chiarito, come nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti delibere non opera quando si tratti di vizi implicanti la loro nullità, trattandosi dell’applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda. Ora, una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., va certamente ritenuta nulla, a differenza di quanto argomentato dalla Corte d’Appello occorrendo a tal fine una convenzione approvata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale. La nullità di una siffatta delibera può, quindi, essere fatta valere anche nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei discendenti contributi condominiali, trattandosi di vizio che inficia la stessa esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa (esistenza che il giudice dell’opposizione deve comunque verificare) e che rimane sottratto al termine perentorio d’impugnativa di cui all’art. 1137 c.c.
Chiarito l’aspetto pregiudiziale, la Corte affronta il problema della ripartizione delle spese per completa sostituzione dell’impianto di ascensore condominiale. Secondo costante orientamento interpretativo (nella vigenza della disciplina, qui operante, antecedente alla riformulazione dell’art. 1124 c.c. introdotta dalla legge n. 220 del 2012, ove espressamente si contempla l’intervento di sostituzione degli ascensori) a differenza dell’installazione “ex novo” di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese vanno suddivise secondo l’art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino), quelle concernenti la manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente vanno ripartite ai sensi dell’art. 1124 c.c. Stante l’identità di ratio delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale ex art. 1124 c.c. e delle spese concernenti la conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente, deve dirsi che, al pari delle scale, l’impianto di ascensore, in quanto mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune (tant’è che, dopo la legge n. 220 del 2012, esso è espressamente elencato nell’art. 1117 n. 3, c.c.) anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché pure tali condomini ne fruiscono, quanto meno sulla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio, con conseguente obbligo gravante anche su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordinaria ed eventualmente di sostituzione dell’ascensore, in rapporto e in proporzione all’utilità che possono in ipotesi trarne (arg. da Cass. Sez. 2, 20/04/2017, n. 9986; Cass. Sez. 2, 10/07/2007, n. 15444; Cass. Sez. 2, 06/06/1977, n. 2328).
Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello di ripartizione delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori può essere derogato, ma la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione deve essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), o in una deliberazione dell’assemblea che sia approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).
Il codice civile stabilisce che tutti i condomini devono partecipare, in base ai propri millesimi, alle spese condominiali. Quando però le parti comuni sono destinate a servire i condomini in misura diversa, le relative spese vanno ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne. A questo riguardo la Cassazione ha detto che non conta l’uso effettivo ma solo quello potenziale. In altri termini significa che se un negoziante può, volendo, entrare nell’androne deve pagare le relative spese; se gli è consentito di usare l’ascensore per arrivare al terrazzo deve contribuire ai relativi costi. Insomma non conta che il proprietario del magazzino non usi mai le scale e gli altri servizi se però, anche astrattamente, non gli è vietato farlo.
È bene infine ricordare che le spese dell’ascensore devono essere pagate anche dal condominio che volontariamente intende rinunciare all’uso. Vige nel condominio la regola generale che, ai fini della partecipazione alle spese, occorre in ogni caso far riferimento non già all’uso effettivo che il singolo fa del servizio comune, bensì a quello che potenzialmente egli può fare. È evidente che il non usare l’ascensore non si traduce in un risparmio di spesa per gli altri condomini, così