Il decreto c.d. sblocca Italia, ossia il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito nella legge 11 novembre 2014 n. 164, introduce nel nostro ordinamento il “contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, così codificando un’operazione
economica nata dalla prassi notarile e riconducibile, in linea generale, all’affitto con riscatto. Scopri di più!
Il modello preso a prestito è, soprattutto, quello anglosassone del rent to buy, che è servito, nel mercato immobiliare, ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta, attesa anche la difficoltà per il futuro acquirente di accesso al credito bancario, consentendo così la compravendita di appartamenti in un settore recentemente
in crisi (v. ruggiero, Rent to buy: la positivizzazione di un nuovo schema negoziale tipico nato dalla prassi per il sostegno indiretto al mercato immobiliare, in Contratto e impresa, 2015, 964).
In particolare, l’art. 23 definisce il nuovo istituto come il contratto, diverso dalla locazione finanziaria (leasing), che prevede “l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto”.
La suddetta normativa individua gli elementi essenziali del contratto, oramai “tipico”, e gli strumenti di tutela predisposti per bilanciare gli interessi delle parti, lasciando all’autonomia negoziale l’individuazione delle clausole particolari e, al contempo, stabilendo specifiche regole in ordine a singoli aspetti, quali la trascrizione, la risoluzione per inadempimento, le ipotesi di fallimento e la regolamentazione del godimento (v. Petrelli, Rent to buy, in Condominioelocazione. it, Giuffrè, 10 aprile 2018).
Il rent to buy registra una struttura “bifasica”:
- Nella prima (rent), ad effetti obbligatori, si realizza il conseguimento del godimento immediato dell’immobile a fronte del pagamento di un canone;
- Nella seconda (buy), eventuale, ad effetti reali, si determina il trasferimento della proprietà attraverso l’esercizio del diritto all’acquisto da parte del conduttore e l’imputazione al prezzo di vendita dell’immobile di una quota parte del canone indicata nel contratto.
La disposizione non prevede, quindi, un obbligo reciproco delle parti a concludere l’atto di vendita, né prevede che il trasferimento del bene si verifichi automaticamen te a conclusione del periodo di utilizzo, riconoscendo al solo conduttore un diritto all’acquisto, sicché quest’ultimo, alla scadenza del termine convenuto, è libero di decidere se procedere o meno in tal senso, fermo restando, peraltro, l’ob bligo del concedente di vendere qualora il conduttore opti per la prima soluzione.
Pertanto, tutto dipende dalla decisione che assumerà il conduttore:
- Se egli non vorrà acquistare l’immobile, alla scadenza del termine, il contratto cesserà di avere ogni effetto: il concedente avrà diritto alla riconsegna dell’immobile ed a trattenere l’intera componente dei canoni imputabile all’utilizzo, ed il conduttore avrà diritto alla restituzione della parte del canone imputabile al prezzo di vendita;
- Se egli vorrà esercitare il diritto all’acquisto, il concedente sarà tenuto a dare il proprio consenso alla vendita, ed il conduttore, a sua volta, dovrà corrispondere il prezzo pattuito al netto dei canoni già pagati per la componente da imputare al prezzo; qualora il concedente non dovesse adempiere all’obbligo di stipulazione dell’atto di cessio ne, il conduttore potrà ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso, ai sensi dell’art. 2932 c.c., così come stabilito per il contratto preliminare. In questa prospettiva, il contratto di rent to buy può offrire svariati vantaggi (v. Cicero, Rent to by: la fattispecie e gli interessi sottesi, in Contratti, 2015, fasc. 11, 1041). Innanzitutto, esso consente di trovare più facilmente un acquirente (sia pure solo potenziale), perché la possibilità di pagamento graduale, e distribuito in un arco temporale più o meno ampio, allarga indubbiamente la platea dei soggetti interessati, tanto più che un ulteriore “incentivo” è costituito dall’assenza di un obbligo di acquisto (quale vi sarebbe in caso di conclusione di un contratto preliminare bilaterale).
Quest’ultima circostanza – ossia la mancanza di certezza circa l’effettivo trasferimento del bene, alla scadenza contrattuale o anche, eventualmente, prima – costituisce, correlativamente, un “rischio” che l’aspirante venditore è costretto a correre (nella logica dell’operazione contrattuale de qua), ma è un rischio che viene bilanciato dalla possibilità di ottenere un “canone”, di solito, di importo sensibilmente più elevato rispetto a quello di una
semplice locazione, in quanto tale canone ingloba già una parte del prezzo della futura vendita, con la possibilità di statuire che una quota di questa “componente-prezzo” sia trattenuta dal locatore/ proprietario anche in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto (e, quindi, di mancata conclusione della vendita).
Meccanismi, sia l’uno che l’altro, che, da un lato, rassicurano in ordine alla serietà dell’intento negoziale del futuro (potenziale) acquirente, e, dall’altro, consentono al proprietario (aspirante) venditore non solo di acquisire progressivamente il prezzo del bene, ma anche di poter trattenere una quota (predeterminata) di tale prezzo a titolo di indennità, qualora la vendita non sarà conclusa.
Orbene, il comma 1-bis del summenzionato art. 23 – introdotto opportunamente in sede di conversione
in legge – stabilisce che “le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il
concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito”. In tal modo, il canone di locazione riceve dalle parti una “articolazione”, che non si limita solo
a distinguere la componente che rimane, comunque, definitivamente acquisita al concedente quale corrispettivo della concessione del godimento (sino alla stipula del contratto traslativo) e quella che è destinata ad essere imputata al “prezzo” convenuto per la (futura, eventuale) vendita, ma prevede anche un’ulteriore (possibile)
distinzione, volta ad individuare – all’interno della parte di canone destinata ad essere imputata al prezzo (se la vendita verrà conclusa) – accanto ad una “quota” che, in caso di mancato esercizio del diritto all’acquisto del conduttore, il proprietario dovrà restituire, un’altra “quota” che egli potrà invece trattenere (v. D’Amico, Il rent to buy: profili tipologici, in Contratti, 2015, fasc. 11, 1030).
L’entità di quest’ultima “quota” dipenderà, ovviamente, dal variabile dosaggio che (anche per motivi fiscali) le parti attueranno tra le diverse “componenti” del canone – quota che andrà in definitiva ad aggiungersi alla parte del canone ab origine destinata a remunerare la concessione del godimento nel periodo tra la conclusione del contratto in cui avverrà il trasferimento . ma è presumibile che essa sarà comunque sufficientemente elevata, sì da consentire, per un verso, di esercitare un’effettiva “pressione” sul conduttore in direzione dell’esercizio del diritto all’acquisto, e dall’altro, verosimilmente, di “ricompensare” il concedente – attraverso quella che finisce per
essere, in fondo, una “ricalibratura” dell’importo del canone riferito al godimento, per adeguarlo alla situazione determinatasi a seguito della decisione del conduttore di non esercitare il diritto all’acquisto – per il sacrificio unilaterale sopportato per il fatto di aver perso la possibilità di disporre del bene (ad esempio, vendendolo a terzi) durante il periodo di durata del contratto.
Un aspetto abbastanza decisivo per le sorti della nuova figura contrattuale è sicuramente quello relativo
al trattamento fiscale, che, però, non è stato affrontato a livello legislativo (specie, nel citato art. 23).
Il problema era soprattutto quello di strutturare l’operazione in maniera da escludere la configurabilità di una
promessa bilaterale di vendita, che sarebbe stata soggetta a tassazione immediata e anticipata, disincentivando
in misura notevole la diffusione dell’istituto.
Invero, l’art. 109, comma 2, lett. a), del d.p.r. n. 917/1986 dispone che ‘‘la locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con riserva di proprietà”; e, ai fini dell’IVA, l’art. 2, comma 2, del d.p.r. n. 633/1972 stabilisce che “costituiscono inoltre cessioni di beni … 2) le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti” (v., tra le altre, Cass. 22 aprile
2015, n. 8192, in Riv. dott. comm., 2015, 525, secondo cui, in tema di contabilizzazione dei ricavi, ai fini delle imposte sui redditi, le suddette norme, pur riguardando fattispecie non omogenee dal punto di vista civilistico, trovano un’unica regolamentazione ai fini della determinazione del principio di competenza, dovendosi avere riguardo al momento della stipula dei contratti, conseguendone che, anche ai fini IVA, sia la vendita con riserva di proprietà che la locazione con patto di futura vendita devono essere trattate, quanto all’individuazione del momento di contabilizzazione, come operazioni ordinarie di cessione di beni, soggette all’imposta per l’intero corrispettivo al momento in cui viene effettuata, non assumendo rilievo, per ragioni antielusive, il differimento del trasferimento dominicale).
Al riguardo, la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 4/E del 19 febbraio 2015 ha dettato un’articolata disciplina e, scomponendo l’operazione negoziale, ha differenziato il regime fiscale in ragione della funzione delle somme versate:
- Segnatamente, il canone di godimento viene assimilato al canone di locazione ai fini delle imposte dirette e indirette;
- L’anticipazione sul corrispettivo viene equiparato agli acconti prezzo; in caso di esercizio del diritto di
acquisto, si applica la normativa sui trasferimenti immobiliari (v. testa, Il trattamento fiscale del rent to buy nella circolare dell’Agenzia delle Entrate, in Immobili & proprietà, 2015, 301).
Tuttavia, il grave inconveniente di una simile ricostruzione è quello di snaturare la speciale funzione del contratto in esame e la sua autonomia rispetto ad altre figure, con una confusione di inquadramenti fiscali che potrebbe comportare il rischio di una duplicazione di imposizione.
È vero che il canone viene suddiviso (per il godimento e per il corrispettivo), ma l’operazione economica è unitaria, essendo il tutto funzionale alla cessione (non attuale); il godimento non è concesso autonomamente e, in caso di inadempimento del conduttore, il concedente acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità – vuoi per
mancata vendita, vuoi per deterioramento e perdita di valore nel tempo – diversamente rilevanti ai fini Irpef dell’art. 6 del d.p.r. n. 917/1986, con onere in capo al contribuente di dimostrare le voci di risarcimento “puro” esente da tassazione (v. Benni De Sena, Il rent to buy e il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobile, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 609).
Il canone nella sua scomposizione assolve ad un un’unica funzione, poiché il godimento, se pur può agevolare
la conclusione del contratto, rappresenta anche un rischio per il concedente, essendo l’esito incerto e portando il trascorrere del tempo e l’uso al deprezzamento/deterioramento, e quindi ad una diminuzione del valore del bene, nonché la possibilità di perdere altre occasioni di vendita.
Quindi, il canone, pur nelle sue sfaccettature, rappresenta economicamente e nella sua unità il prezzo della (possibile) cessione differita nel tempo, assumendo i contorni ora dell’acconto in caso di esito positivo dell’operazione, ora di indennizzo oppure di caparra confirmatoria, salvo poi i diversi assetti contrattuali, in caso opposto (v. Stradini, Profili fiscali del contratto di rent to buy, in Riv. dir. trib., 2014, 1299).