Allorchè agisce iure privatorum in un rapporto di locazione, la Pubblica Amministrazione deve pur sempre rispettare gli obblighi stabiliti dalla legge in capo alla parte conduttrice, e ciò anche se deduce l’eccezionale stato di crisi economico-finanziaria, che, indiscutibilmente, costituisce un “fatto notorio”, in quanto emergente da tutta la normativa dettata dal legislatore in materia di spending review.
In quest’ottica, si rivela molto interessante la fattispecie sostanziale sottoposta, di recente, allo scrutinio del Supremo Collegio, che aveva ad oggetto un contratto di locazione relativo ad immobile per uso commerciale concesso in godimento all’Inail; a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 95/2012 (“Riduzione della spesa degli Enti pubblici non territoriali”), convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, l’Istituto comunicava al locatore la volontà di recedere dal contratto ex art. 27 della legge n. 392/1978, evidenziando che il legislatore aveva previsto, al fine di conseguire obiettivi di contenimento della spesa per l’acquisto di beni e servizi e di riduzione della spesa pubblica, che gli Enti pubblici non territoriali dovessero adottare ogni iniziativa affinché fosse “razionalizzato il proprio patrimonio immobiliare strumentale mediante l’attivazione immediata di iniziative di ottimizzazione degli spazi da avviare sull’intero territorio nazionale che prevedano l’accorpamento del personale in forza nei vari uffici territoriali ubicati nel medesimo Comune e la riduzione degli uffici stessi, in relazione ai criteri della domanda potenziale, della prossimità all’utenza e delle innovate modalità operative connesse all’aumento dell’informatizzazione dei servizi”.
Pertanto, l’Inail evocava in giudizio il locatore, chiedendo che venisse dichiarata la legittimità del recesso anticipato dal contratto di locazione dell’immobile, con conseguente esonero del conduttore dal pagamento dei canoni.
Il locatore, nel costituirsi in giudizio, spiegava domanda riconvenzionale volta ad accertare, invece, che il contratto di locazione si era rinnovato di sei anni in sei anni, e che l’Istituto fosse obbligato a pagare i canoni maturati fino alla naturale scadenza.
Il Tribunale riteneva legittimo il recesso anticipato ex art. 27 della legge n. 392/1978 e dichiarava cessati gli effetti del contratto di locazione, respingendo la domanda riconvenzionale spiegata dal locatore.
Quest’ultimo impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’Appello, la quale, ribaltando l’esito del giudizio di prime cure, rigettava la domanda dal conduttore proposta con l’originario atto introduttivo ed accoglieva la domanda riconvenzionale, condannando l’Istituto appellato alla corresponsione, in favore del locatore, di tutti i canoni, applicando, però, la riduzione del 15% prevista dall’art. 8, comma 4, dello stesso decreto-legge n. 95/2012.
L’Inail ricorreva per la cassazione della suddetta decisione, sostenendo – in buona sostanza – che i gravi motivi di recesso ben potevano essere rappresentati da sfavorevoli situazioni economiche sopravvenute al contratto, indipendenti dalla volontà del conduttore, che potevano rendere intollerabilmente oneroso il contratto di locazione, e richiamando, a supporto della doglianza, che, all’epoca del recesso, erano vigenti una serie di diposizioni che obbligavano tagli di spesa alle P.A. e piani di razionalizzazione degli spazi adibiti a pubblici uffici, ed imponevano alle Amministrazioni interessate l’onere di attivarsi per contrarre le uscite.
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tali doglianze nel complesso infondate.
In linea generale, si è premesso che l’art. 27, ultimo comma, della legge n. 392/1978 è applicabile anche ai contratti stipulati da Enti pubblici in qualità di conduttori, pur se non espressamente richiamato dall’art. 42 della stessa legge (v., tra le altre, Cass. 22 novembre 2000, n. 15082; Cass. 8 gennaio 2005, n. 262; Cass. 28 giugno 2012, n. 10874).
Inoltre, costituisce principio consolidato – ripetutamente affermato riguardo ai contratti di locazioni di immobili urbani destinati ad uso diverso da quello abitativo stipulati tra privati – che i gravi motivi di cui alla norma de qua devono sostanziarsi in fatti “involontari, imprevedibili e sopravvenuti” alla costituzione del rapporto ed essere tali da rendere “oltremodo gravosa” per il conduttore medesimo, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo, sicché essi non possono attenere alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità o meno di continuare ad occupare l’immobile locato, ma devono avere carattere oggettivo, ravvisabile, tuttavia, anche in un andamento della congiuntura economica (sia favorevole che sfavorevole all’attività dell’impresa), sopravvenuto ed oggettivamente imprevedibile, che, imponendo l’ampliamento o la riduzione della struttura aziendale, sia tale da rendere particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo (v., da ultimo, Cass. 7 marzo 2023, n. 6731; Cass. 9 maggio 2023, n. 12461).
Al contempo, ai fini del valido ed efficace esercizio del diritto potestativo di recesso del conduttore, a norma dell’art. 27 della legge n. 392/1978, è sufficiente che egli manifesti al locatore, con lettera raccomandata o altra modalità equipollente, il grave motivo per cui intende recedere dal contratto di locazione, senza avere anche l’onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo è fondato, né di darne la prova, perché queste attività devono esser svolte in caso di contestazione da parte del locatore.
Trattandosi, però, di recesso “titolato”, la comunicazione del conduttore non può prescindere dalla specificazione dei motivi, con la conseguenza che tale requisito inerisce al perfezionamento della stessa dichiarazione di recesso, e risponde anche alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (v. Cass. 17 gennaio 2012, n. 549), dovendo anche escludersi che il conduttore possa esplicitare successivamente le ragioni della determinazione assunta (v. Cass. 30 giugno 2015, n. 13368).
In quest’ordine di concetti, dagli atti di causa, è emerso che l’Istituto ricorrente, nel comunicare al locatore la volontà di recedere dal contratto, aveva fatto riferimento esclusivamente agli articoli del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, giustificando la sua iniziativa adducendo “la necessità di perseguire gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica imposti alle P.A. dal legislatore e di razionalizzazione degli spazi”.
Tuttavia, in tale comunicazione di recesso, non è stato dedotto, quale grave motivo, la sopravvenuta insostenibilità del pagamento del canone in dipendenza di sopravvenute disposizioni normative che imponevano tagli di spesa, sicché, del tutto correttamente, la Corte territoriale, nel valutare la ricorrenza dei presupposti per il valido esercizio del recesso anticipato, ha tenuto conto delle sole ragioni evidenziate dall’Istituto conduttore, senza pronunciarsi sulle altre disposizioni legislative che sono state invocate per la prima volta in sede di legittimità, al fine di supportare la doglianza, il cui esame è precluso, stante la novità della censure, non essendo consentito individuare i “gravi motivi” in altre circostanze di fatto non dedotte dal conduttore all’atto del recesso, anche laddove trattasi di disposizioni normative astrattamente suscettibili di integrare ragioni idonee a giustificare lo scioglimento anticipato dal rapporto contrattuale.
In altri termini, i motivi di recesso devono intendersi cristallizzati in quelli manifestati nella lettera di recesso, tra i quali non rientrava il “risparmio di spesa”, che era stato dedotto solo in sede giudiziale; ad ogni buon conto, l’Istituto conduttore non aveva offerto idonea prova del preteso perseguimento delle esigenze di razionalizzazione degli spazi ed economicità del bilancio.
D’altronde, costituisce principio acquisito nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l’onere, per il conduttore, di specificare i gravi motivi contestualmente alla dichiarazione di recesso ai sensi dell’art. 27 della legge n. 392/1978, ancorché non espressamente previsto da detta norma, deve ritenersi conseguente alla logica dell’istituto, atteso che al conduttore è consentito di sciogliersi dal contratto solo se ricorrano gravi motivi, e il locatore deve poter conoscere tali motivi già al momento in cui il recesso è esercitato, dovendo egli assumere le proprie determinazioni sulla base di un chiaro comportamento dell’altra parte del contratto, anche al fine di organizzare una precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso stesso (v., ex multis, Cass. 27 ottobre 2011, n. 22392; Cass. 6 giugno 2008, n. 15058; Cass. 29 marzo 2006, n. 7241; Cass. 26 novembre 2002, n. 16676).
Nella specie, il giudice distrettuale aveva correttamente circoscritto la propria valutazione ai motivi addotti con la lettera di recesso, non potendo questi essere integrati con quelli postulati, solo in sede giudiziale, afferenti al “risparmio di spesa”.
A ciò deve aggiungersi che, se è vero che la scelta di recedere non può prescindere dall’apprezzamento dell’attività esercitata dal conduttore, quale indicata dall’art. 27, oppure contemplata direttamente o indirettamente nell’art. 42 della medesima legge, per cui, ove la scelta di recedere sia operata da un Ente pubblico, non può prescindersi dal profilo delle attività e dei compiti ad esso affidati, è altrettanto vero che la qualificazione “pubblicistica” del conduttore, una volta che lo stesso si sia avvalso dello strumento privatistico, non consente di ritenere che la legittimità del recesso sia apprezzata, dando rilievo esclusivamente alle determinazioni perseguite dal soggetto pubblico, seppure nell’adempimento delle sue funzioni (v. Cass. 19 dicembre 2014, n. 26892: nella specie, si era statuito che la decisione di un Comune di far costruire un proprio immobile per ospitarvi una scuola non costituisse, di per sé, motivo idoneo di recesso anticipato dal contratto di locazione in corso, essendo necessario che tale scelta fosse stata determinata da un’esigenza oggettiva, finalizzata a soddisfare l’interesse pubblico in questione in modo più idoneo rispetto a quanto già non avvenisse tramite l’utilizzo del bene condotto in locazione).
Un’altra rilevante applicazione della normativa in materia di spending review in materia di locazione, ma questa volta in favore della parte conduttrice, si è avuta, di recente, in un’altra pronuncia del Supremo Collegio (v. Cass. 19 ottobre 2023, n. 29027), il quale – premesso che la riduzione del canone di locazione imposta dal decreto-legge n. 95/2012, non è applicabile solo ai contratti di locazione, bensì ad ogni contratto volto al conseguimento, da parte di Enti pubblici, della disponibilità di un bene destinato a soddisfare un’esigenza pubblicistica, prescindendo dalla fonte del rapporto – ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del citato decreto-legge n. 95/2012, convertito dalla legge n. 135/2012, che, nell’àmbito della c.d. spending review, impone la riduzione del 15% del canone dovuto dalle Amministrazioni centrali, in quanto la scelta legislativa, dettata da necessari obiettivi di finanza pubblica, non è irragionevole, né determina alcuna lesione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, non costituendo nemmeno un intervento legislativo di carattere improvviso ed imprevedibile sui termini dei rapporti di durata.